lunedì 17 agosto 2015

I FICHI

La tradizione culinaria dell’antica Roma aveva riservato un posto di particolare attenzione alla frutta ed in particolare ai fichi. Scriveva Catone ( De Agr. 144 (CLII) riferendosi alla massaia: “Tenga in dispensa: pere secche, sorbe, fichi, uva passa, uva in marmitte, mele stanziane in doglio e tutti gli altri frutti che è uso conservare, anche quelli selvatici, li conservi ogni anno con diligenza”. La grande attenzione riposta nella conservazione ed essiccazione della frutta in generale e dei fichi, in particolare, era strettamente legata al fatto che quest’ultimi non solo erano disponibili in abbondanza integrando l’alimentazione delle classi meno agiate, ma avevano anche una valenza condimentaria per il loro alto valore zuccherino.
L’imperatore Diocleziano (243-313), in un suo editto riguardante i prezzi dei generi alimentari, indicava una pasta di fichi secchi come il prodotto più economico sul mercato. Si otteneva da fichi messi a seccare al sole, liberati dal peduncolo, pestati ed impastati con erbe aromatiche. Divisa in piccole porzioni, la pasta si involtava in foglie di fico e si riponeva in recipienti stagni, conservati in luogo asciutto.   Nell’antica Roma l’albero del fico aveva un alto valore simbolico strettamente legato alle origini della città. Si credeva infatti che avesse nutrito i fondatori dell’impero, Romolo e Remo, essendosi la loro cesta, dopo essere stata abbandonata sul Tevere, fermata proprio a riparo di un fico – detto Ruminale – davanti alla grotta Lupercale dove la tradizione vuole che fossero allattati da una Lupa.
Diversi erano i fichi sacri venerati nella città, il più famoso era quello che si ergeva nel Foro che era la rappresentazione diretta del fico Ruminale, strettamente legato alla vita dell’Urbe. Plinio ci tramanda “quando si secca è sempre un presagio, e i sacerdoti hanno cura di piantarne un altro”.   Se a Roma i fichi erano di casa, e ingente era la produzione locale, compresa quella dell’Etruria, con l’inizio dell’espansione romana, cominciarono ad essere importati dalle più lontane province. Storico è divenuto il fico africano di Cartagine, che, come ci racconta Plinio il Vecchio, fu utilizzato da Catone per indurre i Senatori alla decisione di distruggere tale città, acerrima nemica di Roma, nel suo espansionismo nel Mediterraneo dando inizio alla terza guerra punica, Con l’evoluzione dei costumi e delle abitudini alimentari il fico diviene un cibo sempre più povero, tanto che nei secoli seguenti prenderà corpo il proverbio “non si fanno le nozze con i fichi secchi”, riferito ad un pranzo con poche portate e quindi non all’altezza della situazione.
Il mondo classico ci racconta una storia affascinante legata a questo frutto che i romani amano ancora gustare secondo due ricette estive, semplici e tradizionali: pizza prosciutto e fichi oppure prosciutto e fichi. Attenzione: il prosciutto deve essere sapido per esaltare la dolcezza del fico che deve essere servito ad una temperatura abbastanza bassa.
La ricetta: prosciutto e fichi o pizza prosciutto e fichi   Ingredienti per 4 persone
• 8 fichi tagliati in 4 pezzi
• 2 fette di prosciutto a testa
• 4 pezzi di pizza bianca da forno
Preparazione
Sbucciare i fichi e spaccarli in 4 parti. Porli su un piatto di portata ampio e coprirli con le fette di prosciutto stagionato. Servire freddi. Per la pizza è sufficiente aprire a libro la pizza, appoggiare i fichi all’interno dopo averli spaccati, 

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